Zoo di Aalborg, si donano cavalli ai predatori: ecco perché in Italia sarebbe impossibile (e inconcepibile)

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Allo zoo di Aalborg, in Danimarca, è possibile donare cavalli che, una volta abbattuti sul posto da personale specializzato alla presenza di un veterinario, vengono utilizzati per nutrire i carnivori della struttura. La notizia arriva da un comunicato ufficiale pubblicato dallo stesso zoo, nel quale vengono fornite tutte le condizioni e le istruzioni per i proprietari interessati a effettuare una donazione. Si tratta di una prassi dichiarata apertamente, disciplinata da regole sanitarie e amministrative precise, che comprende anche la possibilità per il donatore di ottenere una detrazione fiscale in base al peso dell’animale.

Accanto ai cavalli, lo zoo accetta anche piccoli animali domestici come conigli, galline e cavie, da consegnare in giorni e orari stabiliti. L’obiettivo, spiegano dalla struttura, è fornire una dieta quanto più naturale possibile agli animali carnivori, evitando sprechi e riducendo la dipendenza da mangimi industriali o carni processate.

È una pratica che, nel contesto danese, non fa scandalo. Al contrario, si inserisce in una visione culturale in cui la gestione della vita e della morte animale è più funzionale e meno emotiva, e dove la trasparenza è considerata parte integrante del rapporto con la natura.

In Italia, una modalità simile non sarebbe legale. Le norme stabiliscono che il cibo per gli animali selvatici in ambiente controllato debba provenire esclusivamente da una filiera industriale certificata. Questo significa che ogni passaggio, dall’allevamento alla macellazione fino alla consegna, deve avvenire attraverso canali ufficiali, tracciabili e sottoposti a rigidi controlli veterinari.

Ma la vera differenza non è solo normativa. È soprattutto culturale.

Nel modello danese, non c’è una netta separazione tra la dimensione affettiva e quella alimentare: un cavallo può essere stato un animale da compagnia, ma può anche diventare, senza scandalo, il pasto per una tigre. In Italia, questa distinzione è netta, e l’idea che un animale “amato” possa essere trasformato in alimento, anche per altri animali, è percepita come moralmente inaccettabile.

Il nostro sistema tende a proteggere la componente affettiva legata agli animali, soprattutto quelli domestici, e per questo esclude in radice che possano rientrare nel ciclo alimentare, anche quando si tratta di nutrire predatori in cattività. È una logica che riflette un forte investimento emotivo verso gli animali d’affezione, e che rende inconcepibile un modello come quello danese, dove invece prevale un’impostazione più pratica e meno antropocentrica.

Il caso di Aalborg Zoo mette così a confronto due modelli profondamente diversi, entrambi coerenti con le rispettive culture: uno basato sulla trasparenza e sull’uso integrato delle risorse, l’altro sulla tutela del legame affettivo tra uomo e animale, anche oltre la vita. Due visioni difficili da conciliare, che vanno ben oltre la semplice questione alimentare.

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